Charta Minuta, Esteri

Nessuna discriminazione, nessuna sottomissione

11 settembre è una data che ricorre nello scontro tra civiltà. Ieri, come oggi. Nella storia e nella cronaca. La data più recente è da tutti ricordata, ha segnato la nostra generazione, cambiato costumi e paradigmi, le regole della sicurezza e la nostra vita quotidiana. Quella più lontana non lo ricorda più nessuno, eppure gli eventi che si verificarono, alle porte di Vienna, salvarono la civiltà cristiana ed europea dalla dominazione islamica, quando ormai in pochi ancora vi speravano e in molti anche allora si erano rassegnati.
11 settembre 2001, a New York, nella capitale dell’Occidente di oggi, il drammatico attentato alle Torri Gemelle segnò la fine del sogno globalista, evidenziando come il nuovo “nemico” fosse il fondamentalismo islamico a lungo tollerato e qualche volta persino utilizzato. È allora che si conclude la breve speranza di un mondo pacifico e di una crescita illimitata, descritti nella “fine della storia” di Francis Fukuyama, mai tanta profezia così presto smentita!
Il processo in atto in questi giorni negli Stati Uniti, intentato dalle famiglie delle vittime nei confronti dell’Arabia Saudita, che tanto imbarazzo suscita proprio alla Casa Bianca, ci farà capire quale sia stato il vero ruolo della potenza sunnita e della stessa famiglia reale nel terrificante attentato che ha cambiato gli assetti del mondo. Fatto tanto più importante alla luce degli avvenimenti odierni nel Golfo Persico che dovrebbero farci riflettere su chi siano i veri “nemici” e quali i potenziali “amici”. Il recente rapporto delle Nazioni Unite sul terrorismo ci ricorda come il pericolo sia ancora molto presente e lancia il suo allarme all’Europa su nuovi terrificanti attentati ad opera dell’ISIS, ricordando come l’organizzazione possa ancora contare su 30.000 foreign fighters molti dei quali rientrati nella nostra Unione e pronti a colpire.
Peraltro, che l’Europa e l’Italia sia accerchiata lo dimostrano gli avvenimenti che si succedono in tutto il Mediterraneo ed anche nei Balcani. In Libia, si combattano le potenze sunnite: da una parte Arabia Saudita ed Emirati, che possono contare sull’Egitto di Al Sisi e soprattutto sulla Francia di Macròn nel sostegno al generale Haftar; dall’altra Qatar e Turchia che sostengono le milizie di Tripoli che insieme con Misurata sono arroccate a difesa del governo di Al Serraj. L’Italia è orami fuori gioco in Libia, teatro di prioritario interesse nazionale per una serie di fattori strategici e vitali per il nostro Paese: energetici ed economici, culturali e politici e certamente sul fronte della sicurezza, come dimostra la cronaca e tanto più la storia.
La situazione è compromessa anche in Medio Oriente, in Siria e in Libano, area dove eravamo il primo partner commerciale e spesso politico, e persino in Turchia e nei Balcani, con il regime di Erdogan che ripropone l’Impero Turco sia nell’espansione a Sud, sia soprattutto nella penetrazione in Europa, teorizzata persino con l’arma della natalità e quindi della demografia.
Nel Balcani emerge in tutta evidenza un conflitto che vede in campo, in un intreccio di interessi con la Turchia, anche e soprattutto Russi, Americani, Tedeschi e Francesi. I Russi a difesa dei Serbi e con la antica aspirazione di raggiungere lo sbocco nel Mediterraneo; gli Americani a difendere il nostro e loro Mare, al fianco degli Albanesi, in Albania ma anche in Kossovo e in Macedonia, e nel sostegno a Dukanovic in Montenegro; la Germania che sin dal riconoscimento della Croazia ha ripreso la sua espansione nel Balcani, con la Francia che anche in questo caso, si fa sentire persino a Belgrado. Italia in arretramento su tutta la linea, rischia di apparire estromessa persino in quella terra così segnata dalla nostra storia e dalla nostra cultura.
L’esodo dei cristiani dalla Bosnia e in qualche modo anche dal resto della Regione e nel contempo la presenza non solo finanziaria di Arabia Saudita e Qatar alla locale comunità islamica, anche attraverso il finanziamento delle Moschee, evidenzia quando caldo sia il fronte persino dentro l’Europa e lungo la frontiera della integrazione. I conflitti politici esasperati all’interno di questi Paesi, le manifestazioni anche violente, qualche episodio di guerriglia e certamente le incombente minaccia della migrazione clandestina che qualcuno maneggia come “bomba demografica” da far esplodere contro il nostro Continente sin dai campi profughi Siriani in Medio Oriente, cosi come dalle nuove rotte dell’immigrazione, ci fanno presagire che possa tornare l’attacco al cuore d’Europa che solo i cavalieri cristiani di quelli che oggi chiameremmo Paesi di Visegrad, riuscirono a fermare nell’ultima decisiva battaglia.
Peraltro, i simboli ricorrono sempre: i leader di Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia, scelsero di realizzare la nuova Alleanza nella città-castello ungherese, il 15 febbraio del 1991, pochi mesi dopo la liberazione dal gioco sovietico, proprio per evocare il luogo dove si svolse nel 1335 il congresso medievale di Boemia, Ungheria e Polonia che molti storici richiamano quando evocano la reazione Cattolica alla Islamizzazione d’Europa.
In questo contesto, davvero plumbeo per il nostro Paese, si inserisce il conflitto in atto nel Golfo Persico con gli Stati Uniti, nostro principale alleato, schierati a sostegno del regime feudale di Riad, malgrado ciò che emerge proprio dal processo in corso ai mandanti dell’attentato alle Torri Gemelle, nello scontro tra la coalizione sunitta e l’Iran sciita che, comunque, ha combattuto in Siria e in Iraq, al nostro fianco, contro l’ISIS, così come aveva fatto contro Al Qaida.
La “guerra” si combatte in tutta la Regione ed ha raggiunto l’apice della sofferenza nello Yemen, dove secondo le Nazioni Unite si sta verificando la più grande attuale tragedia dell’umanità, le cui principali vittime sono proprio i bambini, massacrati dalle bombe della coalizione sunnita che colpiscono scuole ed ospedali per terrorizzare le popolazioni.
Sono tentato di scrivere questa introduzione alla luce della esperienza che vivo quale componente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica e descrivere il ruolo delle potenze sunnite nella strategia del fondamentalismo islamico ed anche la loro azione di penetrazione in Europa. Azione in atto da decenni, le cui prime avvisaglie erano già presenti nel conflitto – etnico, religioso e civile – che ha dilaniato i Balcani, cosi come nella guerriglia in Afghanistan, in Pakistan, in Indonesia, soprattutto nell’espansionismo lungo la frontiera “verde” nell’Africa nera. Ci sarà tempo e luogo per farlo, in modo più appropriato.
In questo primo Rapporto abbiamo preferito focalizzare lo stato di conoscenza del fenomeno e accertare quale sia l’atteggiamento degli italiani rispetto alla possibile islamizzazione d’Europa, nuova e più grave minaccia, dopo quella che come europei abbiamo evitato appunto 450 anni fa, sempre nella medesima giornata.
È l’11 settembre 1683 quando le forze cristiane riescono finalmente a spezzare l’assedio turco alla città di Vienna, che segna la fine dell’espansionismo islamico. La Turchia ieri come oggi, attraverso i Balcani, coniuga religione e nazione in una miscela esplosiva, carica di minacce.
A Vienna fu decisiva la mobilitazione dell’Europa centrale che, anche grazie alla partecipazione dei contingenti italiani allora sotto il dominio austriaco, vinse la battaglia, malgrado il doppio gioco a lungo praticato proprio dal Regno di Francia di Luigi XIV. La Francia era anche allora nascostamente alleata dei Turchi, perché riteneva di beneficiare di un ulteriore indebolimento dell’Austria, e solo per le ripetute insistenti pressioni papali fece finta di schierarsi contro la Cattolicità, inviando una missione navale di fronte ad Algeri, bel lontana dal fronte caldo di Vienna!
La storia, insomma, si ripete: la Francia finge di stare con l’Europa ma agisce spesso con i suoi nemici per prevalere in Europa.
L’11 settembre del 1683 come l’11 settembre del 2001, l’attacco giunge nel cuore dell’Occidente, che nel frattempo non è più Vienna ma New York. Data emblematica che vogliamo ricordare non come memoria ma come contributo per definire il futuro, nella piena consapevolezza che siamo ancora una volta nel crinale della storia
Questo rapporto, curato dalla Fondazione Farefuturo con il contributo dell’Ufficio Studi di Fratelli d’Italia, si pone l’obiettivo di rilevare, anno per anno, se, come e in che modo si stia realizzando una nuova minaccia di islamizzazione d’Europa, con quali strumenti e obiettivi e se, nel contempo, esistano politiche pubbliche di difesa efficaci e quali possano essere realizzate in sede statuale, negli organismi europei e in quelli internazionali.
Il rapporto si rivolge innanzi tutto agli attori pubblici, con una analisi rigorosa, scevra da pregiudizi ma anche da freni inibitori, che individua alcuni indicatori statistici e sociali, nel proporre soluzioni e linee di intervento a breve e medio periodo, ma intende, nel contempo, anche contribuire a sviluppare una più consapevole percezione del fenomeno, di quale sia la reale posta in palio e di quali siano gli attori in campo, cosi che si possano sviluppare i necessari anticorpi nel tessuto culturale e sociale, nazionale ed europeo. Se manca la consapevolezza di quale sia lo penetrazione islamica in Europa non si possono misurare a quale stadio sia giunto lo scontro in atto e le possibili reazioni. Per reagire all’assedio di Vienna fu necessaria la mobilitazione della migliore aristocrazia europea che, superate le ancestrali divisioni, accorse infine in battaglia nell’ultima linea di difesa possibile, quando ormai le armate turche erano nel cuore d’Europa.
Siamo oggi nelle stesse condizioni? La penetrazione islamica è già nel cuore d’Europa? E quali sono le armate turche? A quali nazioni appartengono? Quali strumenti utilizzano?
Oggi come allora, la minaccia appare lontana eppure è ormai vicinissima.
Oggi come allora, la linea di difesa non può essere ristretta a chi è in prima linea, a chi subisce l’offensiva ma riguarda la civiltà europea comunemente intesa, anche quella che appare lontana dal fronte.
Oggi come l’11 settembre del 2001, la reazione deve essere comune e consapevole.
Stavolta prima culturale e poi semmai militare. Perché proprio l’Afganistan insegna che la reazione militare è priva di efficacia se non accompagnata anche da una reazione culturale. Diciotto anni dopo, le truppe dell’Alleanza sono ancora a Kabul, costrette a trattare con i Talebani, perché non si combatte solo sul terreno né con Al Qaida, né tanto meno con l’ISIS, ancorché avesse proclamato il Califfato proprio in quella che era la Mesopotamia, culla della civiltà dell’uomo. Si combatte nei cuori e nei cervelli, tanto più in Europa.
Questo Rapporto contiene anche una indagine demoscopica, con indicatori misurati nel tempo, che evidenzia tra l’altro lo sviluppo del sentimento popolare su alcuni temi chiave e la percezione della situazione in atto, cosi come misura il grado di consenso di alcune politiche di cui si dibatte in Italia e in Europa, spesso senza alcun raffronto statistico o per lo meno demoskopico. Si avverte, in tutta evidenza, la consapevolezza, che cresce ogni giorno di più, della minaccia, ancorché permane la speranza di una convivenza pacifica tra Cristianità e Islam anche e soprattutto in Europa e nel Mediterraneo. È diffusa la percezione che la convivenza sia possibile e che, malgrado la crescita della radicalizzazione islamica, la gran parte dei cittadini europei di religione islamica sia tuttora propensa ad una pacifica integrazione. Emerge, soprattutto, in tutta evidenza il ruolo della donna, percepita come la principale vittima del fondamentalismo e nel contempo come il principale attore di una politica di integrazione, in quando moglie e soprattutto madre, fattore già rilevato alcuni anni fa in una precedente analisi della nostra Fondazione, quando la minaccia del fondamentalismo appariva ancora lontana dai confini europei.
In generale il nostro sondaggio evidenzia una visione degli Italiani non preclusiva nei confronti degli Islamici in Europa, verso i quali vi è ancora fiducia sulla loro capacità di integrarsi, anche se emerge in tutta evidenza la consapevolezza di quanto sia grave la sottomissione della donna nella cultura Islamica, questione che sembra la più rilevante e comunque emblematica. Gli Italiani in larghissima misura sono contrari a realizzare “eccezioni legislative” per venire incontro alle esigenze degli Islamici, ad esempio consentendo la poligamia, ed esigono anzi “il rispetto totale delle leggi in vigore”, senza eccezioni. Accettazione, quindi; tolleranza, convivenza, integrazione ma non “sottomissione”.
Gli Italiani avvertono l’importanza di nuovi più efficaci interventi sul fronte della sicurezza, della legalità e della tutela della nostra cultura e dei nostri costumi, ma sono assolutamente scevri da atteggiamenti xenofobi, che condannano senza infingimenti. Desiderano, ad esempio, che sia introdotto “uno speciale reato per chi predica odio tra le religioni e giustifica gli atti di terrorismo”, cosi come chiedono che “sia reso obbligatorio che le prediche nelle moschee avvengano in italiano, in modo che possano essere capite”. Aumenta la contrarietà alla “jus soli” ed è forte la richiesta che “gli immigrati facciano un corso di lingua italiana e di educazione civica prima di essere integrati”, mentre appare ancora minoritaria la proposta di gestire le quote dei migranti in favore dei cattolici, discriminando gli Islamici.
Non vi è, peraltro, piena consapevolezza di quale sia la reale condizione dei Cristiani e degli ebrei nei paesi Islamici e di come l’espansionismo Islamico si sia realizzato nel passato, lacune che devono far riflettere a fronte delle persistenti notizie di cronaca, talvolta drammatiche, sinora evidentemente ancora non pienamente percepite.
Emerge evidente su tutto quanto sia forte, radicata, condivisa la natura degli “Italiani brava gente”, popolo mediterraneo, aperto e inclusivo, che nemmeno la minaccia islamica potrà mutare. Vi è l’accettazione piena dell’altro, purché questo “altro” non pretenda di cambiare la nostra vita ma accetti di integrarsi rispettando le nostre leggi. Nessuna discriminazione ma anche nessuna sottomissione: questo ci appare l’elemento prioritario che emerge dalla nostra indagine.
Il rapporto è, inoltre, suffragato con analisi e commenti dei componenti del Comitato scientifico che definiscono alcuni aspetti cruciali della questione islamica, sempre frutto di una rigorosa interpretazione professionale rispettosa della realtà e priva di pregiudizi, che offre al lettore e certamente anche allo studioso ulteriore materiale per arricchire il proprio bagaglio culturale, spesso mettendo in discussione luoghi comuni ormai percepiti dai più come superati.
Siamo consapevoli che questo primo Rapporto abbia ancora alcune lacune nella raccolta dei dati e altri limiti interpretativi; sarà nostro impegno integrarlo nelle successive edizioni con indicatori ancora più specifici, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti economici, sociali e legislativi del fenomeno islamico in Europa.
Siamo, però, altrettanto convinti che il fatto stesso di aver realizzato un Rapporto specifico sul tema sia di per sé “rivoluzionario” proprio perché colma una lacuna non più giustificabile a fronte della portata dell’espansionismo islamico nel nostro Continente, come se ci fosse davvero una sorta di sottomissione culturale, tanto più pericolosa di quella reale, soprattutto nella società virtuale in cui predomina l’apparenza.
La sottomissione è la prima “catena mentale” non ancora materiale che l’Europa dovrà spezzare se intende davvero reagire alla “decadenza”, riaffermando i valori della propria civiltà, cosa necessaria per sé ma utile per il mondo intero.

*Introduzione di Adolfo Urso al Rapporto sull’islamizzazione d’Europa della Fondazione Farefuturo

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