«Chi controlla i bambini controlla il futuro». È uno dei passaggi centrali, tra i più inquietanti ma anche tra più importanti, di Sottomissione, il romanzo di Michel Houellebecq che nel 2014 si è rivelato come il pugno sullo stomaco, quantomai salutare, nel dibattito asfittico e falso sull’Islam e il suo rapporto con l’Europa.
Già, è stato necessario l’intervento-shock di uno scrittore anticonformista e “visionario” (ma in realtà lucidissimo e attento alla prossimità) per trovare veicolato su un mezzo di comunicazione di massa – il romanzo è diventato un best-seller, non solo per la “coincidenza” della sua uscita con la strage di Charlie Hebdo ma proprio per la forza escatologica del racconto – un passaggio di verità sulla strategia di penetrazione reale dell’Islam, nello specifico quello salafita delle monarchie del Golfo, nella nostra patria continentale.
Voglio sottoporvi un passaggio. Poche righe ma divinatorie: «Non mettono al centro di tutto l’economia – il riferimento è ai leader dell’immaginario partito della Fratellanza musulmana in trattativa con la sinistra francese per battere alle elezioni presidenziali del 2022 il candidato della destra -. Per loro l’essenziale è la demografia, e l’istruzione; il sottogruppo demografico che dispone del miglior tasso riproduttivo, e che riesce a trasmettere i propri valori, trionfa; per loro è tutto qua, l’economia e la stessa geopolitica non sono che fumo negli occhi: chi controlla i bambini controlla il futuro».
Altro che distopia o fantapolitica. Si tratta della fotografia di ciò che il “Rapporto annuale sull’islamizzazione d’Europa” che avete tra le mani ha analizzato, decrittato e sistematizzato: la sopravvivenza di una civiltà è legata prima di ogni altra cosa al tasso di natalità e al sistema di valori che grazie a questa riesce a trasmettere.
E cosa dicono i dati? Che una donna musulmana, qui in Europa, ha un tasso un tasso di fertilità superiore, il doppio, di quello di una donna non musulmana. Se i flussi migratori dei musulmani nel Vecchio continente dovessero proseguire al ritmo di come li abbiamo conosciuti negli ultimi anni? Tra soli trent’anni gli islamici in Europa saranno più che raddoppiati: si parla della percentuale clamorosa di incremento del 125%. E a quel punto chi “controllerà” il nostro futuro? Con quale scala di valori? E in nome di quali istituzioni?
Ecco, noi speriamo invece che nessuno controlli alcuno: né un governo “multinazionale” né una holding islamista. Lo speriamo proprio nel nome di quei valori – uguaglianza e democrazia – che un certo storicismo crede inevitabili, che Francis Fukuyama ottimisticamente indicava come «fine della storia», ma che in realtà appartengono a quella dimensione complessa, alimentata da una precisa direttrice, che conosciamo organicamente soltanto come e nella civiltà occidentale.
Ecco perché l’argomento dell’islamizzazione dell’Europa ci interessa in maniera specifica e problematica e su questo abbiamo predisposto, accanto e a sostegno della battaglia politica, un serrato e attrezzato dibattito scientifico e accademico. Perché temiamo che la “profezia” di Houellebecq, se l’Europa, e l’Italia per ciò che ci riguarda da vicino, non deciderà di disporre politiche e strumenti per preservare se stessa, possa tramutarsi inevitabilmente in realtà.
A fronte di un disinteresse “complice” da parte della narrazione ufficiale, ci interessa eccome studiare e denunciare il rischio dell’islamizzazione perché la difesa del nostro “futuro”, la sua stessa possibilità, è intimamente connessa alla salvaguardia del nostro “passato”. Proprio così: tutto ruota attorno alle radici, la cui preservazione – credetemi – tutto è tranne che un fatto “archeologico”. L’identità europea – attraversata e permeata da due sostrati, classico, inteso come greco-romano e giudaico, e cristiano – si impone infatti come entità viva principalmente per due elementi caratterizzanti di natura filosofica, identitaria, più che religiosa, che la distinguono da tutte le altre.
Il primo è la laicità dello Stato; per il banale motivo che la separazione fra i “poteri” è contemplata fin nei testi sacri della cristianità, alla ricerca di un’armonia che ha sempre interrogato il pensiero politico europeo e italiano su tutti, come dimostra il De Monarchia di Dante Alighieri che considerava “due soli”, l’Impero e la Chiesa, come «duplice guida, in relazione al duplice fine; e cioè il Sommo Pontefice, che conducesse il genere umano alla vita eterna secondo la Rivelazione, e l’Imperatore, che dirigesse il genere umano alla felicità temporale secondo gli insegnamenti della filosofia».
Il secondo grande elemento è proprio questo, il rapporto dinamico tra fede e ragione come dispositivo per la formazione dell’identità europea. È ciò che emerge dal grande dibattito (condito da polemiche e da attacchi strumentali) che suscitarono le parole di Papa Benedetto XVI nella celebre lezione di Ratisbona. Proprio l’incontro fra fede biblica e logos, come spiegò in quell’occasione fondamentale il Papa emerito, «al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa» e «rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa».
Dall’altro lato, invece, la religiosità islamica non solo per sua natura è trascendente, non solo nel Corano non è concepita la separazione fra fede ed entità statuale (e nella guerra civile interna all’Islam vengono combattute dall’Isis guarda caso proprio quelle nazioni, come la Siria, legate al socialismo arabo e quindi di impronta laica) ma in alcuni Stati – come l’Arabia Saudita – la sharia addirittura rappresenta in toto la “Costituzione”.
L’Europa, dunque, è plasticamente tutt’altro che un’espressione geografica. È un’identità determinata dalla sintesi dei propri connotati di origine: ed è su questa che poggia la sua sinderesi. Se perde ciò, semplicemente, non è più Europa. Potrà essere “riempita” da altro. Potrà tramutarsi in un contenitore. Ma non rappresenterà mai più la stessa formula; e sopratttutto non svelerà più lo stesso contenuto.
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L’osservazione che viene fatta a questo punto, molto spesso a opera di decostruzionisti celati e tutt’altro che disinteressati, è nota: tutto questo potrebbe non rappresentare un problema qualora avvenisse la piena integrazione dell’Islam in Europa. Tradotto: se gli immigrati diventano cittadini europei di formazione ma di religione islamica il nodo è sciolto. Una sorta di pantheon 2.0.
È così? Ingegneria (virtuale) sociale a parte, tutta la discussione riguardo a un Islam “europeo”, quello che risolverebbe a monte il problema dell’integrazione, a oggi si scontra con il dato della realtà.
Quale? I due principali punti di riferimento del proselitismo islamico nel mondo – il Qatar e l’Arabia saudita –, anche se in serrata competizione fra loro, sono anche quelli che svolgono da anni in modo scientifico e articolato la più grande azione di penetrazione religiosa e culturale straniera in Europa. Non solo tramite il finanziamento di moschee, di centri islamici, di associazioni culturali ma anche puntando dritto al cuore delle élite e dei suoi interessi economici, attraverso l’esercizio del cosiddettosoft power. Un esempio facilmente intellegibile arriva dalle sponsorizzazioni dei più importanti club di calcio europei – con una copertura delle principali capitali (Roma, Madrid e Parigi) – che scendono in campo con i colossi e le compagnie di bandiera del mondo arabo sul petto.
Incredibile il caso del Real Madrid, con il club – sponsorizzato da Fly Emirates – che ha scelto anni fa, come vero e proprio atto di”sottomissione” dissimulato dall’opportunità di marketing, di celare la propria identità e togliendo la croce dalla parte sommitale del simbolo della squadra per la vendita delle magliette negli Stati arabi: tutto questo per “non turbare” la sensibilità dei supporter di religione islamica. La stessa scelta, vergognosa e ben più scellerata, che il governo Renzi fece ai Musei Capitolini, nascondendo con le tendine le nudità dei capolavori dell’arte italiana per non disturbare la vista del presidente iraniano Rohani.
L’Opa ideologica araba nei confronti dell’Europa non si esaurisce di certo sul rettangolo di gioco. Ancora più pernicioso è lo “shopping finanziario” di aziende e asset nazionali a opera dei ricchissimi fondi sovrani delle petrolmonarchie: lo vediamo dagli hotel di lusso a Roma a palazzo Turati a Milano passando per le filiali italiane della Deutsche Bank e del Credit Suisse e così via.
Ciò ha fatto sì che il cosiddetto Islam europeo, tanto nella sua veste istituzionale (la Grande Moschea di Romam sorta e sostenuta dai sauditi, ha avuto fino a qualche tempo fa l’ambasciatore dell’Arabia Saudita come presidente del Consiglio di amministrazione) quanto in quella “comunitarista”, sia interamente un Islam che fa riferimento alle dottrine più integraliste provenienti dai Paesi del Golfo.
Il risultato? Un’Europa non solo vittima dell’attacco “nichilista” del terrorismo islamista di prima e seconda generazione – che ha prodotto 729 morti e quasi cinquemila feriti – ma un continente che è diventato a sua volta centrale di formazione e destabilizzazione internazionale.
Come ha avuto modo di verificare e denunciare Soud Sbai, presidente delle donne marocchine in Italia, il fenomeno ha assunto forme pericolose anche per le stesse nazioni del Nord-Africa e del Medioriente. Un dato indicativo e sorprendente, infatti, è quello testimoniato da Stati con un Islam moderato e abituato al confronto con l’Europa, come Tunisia e Marocco. Negli ultimi anni è accaduto un fatto preoccupante: che cittadini tunisi e marocchini si siano radicalizzati proprio in Europa, tornando in patria poi a “praticare” integralismo religioso e politico. Tutto questo sotto gli occhi pigri, quando non complici, delle istituzioni europee.
Un caso di scuola è Molenbeek, il quartiere “no-go zone” di Bruxelles: fucina di radicalizzati e combattenti dell’Isis, da qui sono partiti i terroristi che hanno colpito e sterminato al teatro Bataclan di Parigi e hanno attaccato lo stesso aeroporto della capitale belga. Come si è arrivati a questo? Grazie ad un patto che alla fine degli anni ’60 Re Baldovino strinse con l’Arabia Saudita per la fornitura di petrolio abuon mercato.L'”appalto” di ritorno?L’esclusiva sul proselitismo a Bruxelles, a partire dalla costruzione della Grande Moschea in uno spazio concesso per novantanove anni dal governo belga. Questo ha generato nel tempolegami sempre più stretti dei membri della comunità con i predicatori salafiti e un vero e proprio percorso di indottrinamento fanatistaperi più giovani che, dopo essersi formati o essersi convertiti, hanno ingrossato le file dei foreignfighters per la Siria e l’Iraq al servizio dei gruppi jihadisti. E dove si troverà mai l’edificio religioso,vero hub del fondamentalismo? Nel Parco del Cinquantenario, ironia della sorte a due passidal Palazzo Schuman, il cuore politico dell’Unione europea…
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A questo punto è più che lecito chiedersi se tale processo di islamizzazione sia davvero inevitabile. I dati ufficiali indicano che l’Europa è un continente che in termini demografici sta morendo. Il tasso di fertilità è dell’1,3 figli per donna, quando quello minimo per scongiurare la decrescita di una data popolazione è di 2,1. Un calo demografico, dunque, che in modo semplicistico e propagandistico viene dato come ineluttabile, irreversibile e che, di conseguenza, apre alle tesi che propongono soluzioni grottesche e pericolose secondo le quali – cito testualmente Emma Bonino, l’aedo dell’immigrazionismo – occorrerebbe coltivare «il giardino d’infanzia», quell’Africa che abbiamo «a 300 chilometri sotto di noi mentre l’Europa è segnata dal declino demografico».
Deliri propandistici a parte, sempre le statistiche – come abbiamo indicato prima – spiegano che i cittadini islamici presenti in Europa hanno un tasso di fertilità più alto dei non musulmani. L’elemento in più è che questo risulta comunque abbastanza basso, trattandosi di 2,6. Che cosa significa? Che da solo sarebbe insufficiente a determinare un processo di islamizzazione dipendente interamente dalla natalità. O almeno ci vorrebbero centinaia di anni. Qualcosa in più del «futuro» immaginato da Houellebecq. O dalle parole grosse del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha incitato i musulmani nel continente a fare figli: «Non fate tre figli, ma cinque. Perché voi siete il futuro dell’Europa. Questa sarà la migliore risposta all’ingiustizia che vi è stata fatta». Al di là del fascino di alcuni concetti, insomma, i numeri dicono che la realtà, almeno fino ad ora, è diversa.
Lo è per un motivo semplice: perché gli immigrati che arrivano in Occidente assumono velocemente diverse abitudini occidentali, inclusa la tendenza al mettere al mondo un numero minore di figli. Ciò non significa che ci stiamo preoccupando per nulla. Esattamente il contrario. Sempre i dati illustrano altri due scenari a proposito della questione immigrazione. Quando si analizza quella legale, ad esempio, risulta che se le nazioni europee fossero interessate solo da questa – essendo equilibrata tra musulmana e non – non ci sarebbe un processo pervasivo di islamizzazione dell’Europa (il 46% dei migranti regolari è di religione islamica). I numeri però ci dicono anche un’altra cosa: che per quanto riguarda l’immigrazione illegale, invece, questa negli ultimi anni è stata in gran parte di origine islamica (il 78% dei richiedenti asilo è composto da musulmani).Eppure i cristiani la prima minoranza religiosa perseguita nel mondo (sono circa 245 milioni): sarebbe legittimo, quindi,aspettarsi un numero consistente di rifugiati cristiani giungere in Europa. Che cosa comporta, invece, l’attuale situazione? Che se il trend dovesse proseguire come è stato in questa stagione, nell’arco di poco più di un secolo la popolazione islamica supererà quella non islamica. Il futuro, dunque, semplicemente non sarà più un problema nostro perché non ne faremo quasi più parte.
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Dopo questa lunga ma necessaria premessa, che fare dunque? Come pensiamo di governare questo enorme fenomeno storico? Alla luce di un quadro complesso e con “agenti provocatori” presenti sia nel deep state italiano che nei network globalisti, le politiche e la visione di chi vuole difendere l’identità millenaria europea, per ciò che ci riguarda, sono molto chiare. Per Fratelli d’Italia, come abbiamo sempre ripetuto, prima di ogni altra cosa è necessario stringersi attorno all’unica cosa che può assicurare il futuro: i nostri figli. Ossia alle politiche di incentivo alla natalità e di sostegno alla famiglia naturale. È uno scandalo – rivelatore di una visione distorta della sua funzione politica e della distanza con le istanze reali dei popoli – che tra tutte le priorità indicate dall’Ue non sia mai entrata la questione della promozione della natalità.
Per noi invece questo è stato il primo punto del programma con cui ci siamo proposti agli italiani alle elezioni Politiche. Altri hanno presentato provvedimenti come il reddito di cittadinanza e Quota 100: temi probabilmente più spendibili in campagna elettorale, ma noi siamo fatti così, guardiamo sempre e comunque ai grandi fenomeni che interessano la nostra Nazione. Non ci siamo preoccupati, tutt’altro, di porre questo a fondamento e orientamento della nostra azione politica. Lo abbiamo fatto con una proposta più che concreta, opposta e contraria all’assistenzialismo, come il reddito di infanzia: un assegno mensile importante per i figli dai zero a sei anni (e poi un sostegno fino ai diciott’anni) con cui lo Stato potrebbe dimostrare fattivamente la volontà di voler investire sul proprio futuro.
A questo punto, però, non intendo di certo eludere un’osservazione sensata: sempre i numeri ci dicono che l’Europa può aver bisogno effettivamente di una quota di immigrazione. Vero, lo richiedono lo sviluppo industriale, le nuove esigenze sociali (cresce comunque il numero degli anziani) ma anche un dato che fa parte del nostro milieu, visto che il nostro continente è stato sempre crocevia di incontri e scambi fra culture.
Questo vuol dire, però, che occorre parlare di immigrazione e affrontare il fenomeno in modo serio, a partire dal consentire l’ingresso solo per via legale, sì da poter gestire sia la quantità che la specificità, la qualità, dell’immigrazione in entrata.
Sotto questo aspetto i dati smontano la narrazione ufficiale: se, come si dice, il problema principale dell’Europa è quello demografico, significa allora che si rende necessario l’ingresso specifico di donne e di nuclei familiari. E invece la maggior parte degli ingressi è appannaggio di uomini che arrivano da soli. Con una battuta, potremmo dire che quando nell’antichità i romani si trovarono ad affrontare un problema demografico finì con il celebre “ratto delle Sabine”. Se avessero compiuto il “ratto dei Sabini” sarebbero stati certamente all’avanguardia per i loro tempi ma si sarebbero inevitabilmente estinti.
Con questo che cosa intendo? Semplice: che, come dimostrano le stime ufficiali del Viminale, nel periodo degli sbarchi massicci – fra il 2012 e il 2017, con una percentuale bassissima di profughi veri – circa il 90% erano composto da uomini. Anche sotto l’aspetto demografico, dunque, possiamo parlare di una truffa a tutti gli effetti.
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C’è un aspetto, a tal proposito, sul quale le proposte di Fratelli d’Italia hanno sollevato ulteriore e grande polemica. Quando abbiamo parlato – proprio per venire incontro alle necessità di una quota di arrivi fisiologica – di immigrazione “compatibile”. Che cosa intendiamo? Diciamo, intanto, che la categora dell’immigrato non esiste. O meglio non è per nulla neutra: non si può immaginare, cioè, che sia indifferente la provenienza e la cultura di riferimento di chi arriva in Europa; che sia indifferente se abbiamo davanti un’immigrazione di massa sudamericana o nigeriana. E allora, se è necessaria una certa quota di immigrazione, noi non abbiamo mai avuto alcun problema a chiedere di favorire chi ha origini italiane ed europee.
Si stima che nel mondo ci siano decine di milioni di nostri connazionali che non hanno la cittadinanza italiana, pur avendone diritto. Se l’Italia ha bisogno di immigrazione la cosa più sensata è favorire allora proprio l’arrivo di chi ha le nostre stesse origini. L’esempio banale è il caso Venezuela: più di 20 milioni di abitanti di cui due milioni sono di origine italiana. Nello stato sudamericano vige il caos e in tanti soffrono la fame e le persecuzioni da parte del regime comunista di Maduro. Perché allora non prendere gli immigrati che dovessero servirci da lì? Lo stesso dovrebbe valere su scala continentale: favorire, quando necessario, l’immigrazione di origine europea e, in seconda battuta, un’immigrazione proveniente da Stati che hanno dimostrato di non creare problemi di integrazione o di sicurezza.
Insomma, non proviamo alcun imbarazzo a dire, grazie anche alle parole importanti del cardinale Biffi pronunciate con grande coraggio quasi vent’anni fa, che dovremmo caldeggiare l’accoglienza di popolazioni di origine cristiana: «Preferire i cristiani», spiegava il cardinale, perché «i musulmani più o meno dichiaratamente, vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente “diversi”, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro». I motivi li abbiamo spiegati abbondantemente in questo dossier ma ancora grazie a Biffi ripercorriamo le tracce: «Hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se aspettano prudentemente a farla valere, di diventare preponderanti».
Tutte tensioni, provenienti soprattutto dall’Islam fondamentalista e intimamente anti-occidentale, che sono state dibattute con grande scrupolosità su queste pagine. Eppure i governanti europei rimangono sostanzialmente sordi e ciechi dinanzi a segnali così evidenti. Non a caso il cardinale temeva con grande lungimiranza e attualità, ancora di più dell’invasione, «la straordinaria imprevidenza dei responsabili della nostra vita pubblica» e «l’ inconsistenza dei nostri opinionisti».
Gli stessi che si scandalizzano e alzano gli scudi davanti alle nostre proposte.
Perché, la domanda è pertinente, lo fanno? Perché il disegno globalista ha come primo obiettivo quello di distruggere le identità. Un’immigrazione di massa che non scardina l’identità non è più funzionale a questa dinamica. Prendiamo il caso della Polonia, governata dai sovranisti. L’Ue ha attaccato la Polonia perché rifiuta di prendersi quote di immigrati arrivati in Europa provenienti dall’Africa e dal Medioriente. I polacchi hanno risposto: abbiamo dato ospitalità ad un milione di ucraini. Lì c’è una guerra civile e ci sono, davvero, migliaia di persone che scappano dal conflitto, di certo più di molti africani. La risposta qual è stata? «Non contano». Già, sono europei. Il problema della Polonia dunque non è che non accoglie rifugiati, ma è che trattandosi di europei, cristiani, assimilabili tranquillamente allo stile di vita dei polacchi, quelli che vengono accolti non sono funzionali all’opera di destrutturazione. Ed è lo stesso motivo per il quale i buonisti che hanno sempre una parola buona per chiunque, non dicono nulla sul Venezuela e i suoi perseguitati: già, non sentiremo mai gli immigrazionisti part-time spendere una parola nemmeno per loro.
Alla fine tutto ruota attorno alla nostra identità: elemento vivificante e distintivo. Per questo Inserire un richiamo alle nostre radici classiche e cristiane come cornice e paradigma nei trattati dell’Unione Europea risulta un atto di affermazione necessario e fondamentale, non solo per dare un’anima all’architettura comunitaria ma anche per fornire uno schermo di protezione contro tutti i tentativi di colpire dall’esterno (o svuotare dall’interno) l’impianto della civiltà europea, il suo diritto al futuro. «Non si recidono le radici sulle quali si è cresciuti», esortava non a caso un gigante della storia come Giovanni Paolo II a proposito del sostrato d’Europa. Da sradicati a sottomessi, infatti, il passo è più breve di ciò che si pensi.
*Prefazione di Giorgia Meloni al Rapporto sull’islamizzazione d’Europa della Fondazione Farefuturo