Quello che più colpisce in questa vicenda è il silenzio dei mass media nazionali e sopratutto delle istituzioni. Forse non è una notizia che una azienda riorganizzi la propria struttura, sposti la sede da un luogo ad un altro, oppure decida di indirizzare l’attività finanziaria in maniera diversa. In effetti sono tutte operazioni legittime.
Ma questo silenzio non comunque giustificabile quando si tratta del più grande marchio italiano del settore del latte.
Mi riferisco a Parmalat, a Galbani e alle altre aziende del settore di proprietà di Lactalis. Forse a monte di ciò c’è il rimorso degli errori fatti dall’imprenditore italiana e dai governi di allora quando, dopo il disastro di Tanzi, non ci fu la volontà o la possibilità di aggregare interessi nazionali intorno al grande gruppo di Collecchio.
Che dire un modo di non risvegliare le coscienze di chi, imprenditoria e politica, non colsero una grande occasione. Possiamo dire che quello che è stato è stato, ma oggi la situazione sta nuovamente cambiando.
E’ notizia, infatti, di qualche giorno fa che l’azienda francese Lactalis, che anni addietro ha rilevato Parmalat, starebbe per varare una profonda riorganizzazione dell’impresa parmense, che secondo molti sarebbe un vero e proprio smantellamento. Il tutto articolato in tre fasi: abbandonare la quotazione in Borsa, spostare il quartier generale dell’azienda da Collecchio a Laval in Francia e, infine, prevedere la nascita di 9 divisioni gestite da manager francesi. Se fosse così, è chiaro che di Parmalat in Italia resterebbe ben poco con pesantissime ripercussioni per la nostra economia nazionale. A guardare con sospetto a questo progetto sono in particolare gli allevatori nostrani, che temono alla fine di essere tagliati fuori dal grosso indotto che Parmalat genera con le sue produzioni. Un timore rafforzato dalle dichiarazioni dei giorni scorsi del presidente Marcon, il quale ha promesso agli allevatori francesi che il latte sarà pagato tenendo conto dei costi di produzione. Da qui il rischio che Lactalis sia obbligata a comprare più latte francese, con un evidente danno per i nostri produttori.
A fronte di tutto questo, un assordante silenzio. Vero non ci sono grandi margini di manovra di fronte a queste decisioni, ma il dubbio che dietro ci possano essere altre motivazioni sorge spontaneo. Sopratutto dovuto al momento in cui questa decisione arriva, in un momento in cui i rapporti fra Roma e Parigi sono sicuramente tesi.
A questo poi si aggiungono altre cose che possono far supporre un attacco commerciale della Francia nei confronti della nostra nazione.
L’attacco alla Libia di Gheddafi, non per liberare il paese dal tiranno, ma molto più probabilmente per stroncare gli interessi commerciali dell’Italia con la Libia.
La nazionalizzazione dei cantieri navali di Marsiglia, dove la nostra Finmeccanica ha grandi interessi. La conquista commerciale di grandi aziende italiane con la complicità di governi a guida PD che con la scusa della razionalizzazione hanno svenduto ai francesi gioielli industriali importanti per il paese.
Insomma la Francia ci attacca e noi non ci stiamo difendendo.
*Patrizio La Pietra, Senatore, Fratelli d’Italia