L’immagine di quel muro che il 9 novembre del 1989 veniva abbattuto a Berlino, con ogni mezzo, dal popolo finalmente festante di una nazione ingiustamente divisa e per diverso tempo oppressa, simboleggiava la giusta riscossa contro ogni forma di spietata vessazione come fu quella perpetrata dal regime sovietico. Quello sarebbe dovuto essere l’inizio di un grande sogno per le genti d’Europa; un sogno di unione, di cooperazione e di sviluppo condiviso per tutte le nazioni. Oggi, a distanza di 29 anni da quella data fatidica, quel sogno non si è realizzato. O, per lo meno, una struttura burocratica e impersonale – l’Ue – ha occluso la possibilità di quella cooperazione tra Stati liberi che è stata alla base dell’Europa politica immaginata dai padri fondatori.
Sogno sepolto? Al contrario. Mito capacitante che ritorna con la stessa forza e con nuovi protagonisti che si affacciano per disegnare la «nuova Europa». Lo si è visto plasticamente nell’importante meeting della Fondazione Farefuturo, svoltosi non a caso il giorno dell’importante anniversario del 9 novembre, alla Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto. Qui si è ratificata non solo l’intesa della fondazione italiana con i think tank “gemelli” dei partiti del blocco di Visegrad ma è nato un vero e proprio network identitario che si candida ad alimentare il fronte dell'”affermazione” contro le nuove forme di dirigismo di livellamento che si celano dietro un’idea di Unione europea apparentemente liberale.
L’incontro, che ha visto non a caso una partecipazione sentita e numerosa, è stato animato dagli interventi del presidente di Farefuturo e senatore di FdI, Adolfo Urso, del consigliere di amministrazione Rai, Giampaolo Rossi e dal saluto del presidente della Fondazione Alleanza Nazionale, Giuseppe Valentino. Ospiti d’eccezione, appunto, sono stati i rappresentanti delle Fondazioni dei paesi di Visegrad: Peter Markovic del “Center for open Policy” (Slovacchia), David Szabò direttore della “Szazadveg Politikai Iskola Alapitvany” (Ungheria) e Miroslava Vitàskovà, ricercatrice dell’“Institute of Politics and Society (Repubblica Ceca).
«Abbiamo scelto la data del 9 novembre, anniversario della caduta del Muro di Berlino, per evidenziare la necessità di rifondare la nostra Europa con chi allora ritrovò la propria libertà e la propria nazione aggredite dalla dominazione comunista» ha spiegato Urso indicando in questo meeting internazionale soltanto il primo di una serie di appuntamenti che andranno a comporre la scuola di formazione di Farefuturo che avrà come tema portante di questa prima sessione “Sovranismo vs Populismo”.
L’obiettivo degli incontri sarà quello di orientare il dibattito, proprio in vista delle fondamentali elezioni Europee di maggio, sulle sostanziali differenze tra la politica sovranista e la velleità populista. Una separazione necessaria proprio per salvaguardare la necessità di promuovere in tutti gli ambiti l’interesse nazionale in un quadro di sussidiarietà europea. «Sovranismo è futurismo, Populismo è presentismo» ha precisato non a caso Urso; e questo perché il primo si occupa della Nazione, che è composta non solo da chi la anima adesso ma anche dalle generazioni che verranno. Per questo motivo «il sovranismo punta sull’incremento della natalità, sulla crescita e sullo sviluppo». Il populismo, invece, invece, corre costantemente il pericolo di scadere nel «presentismo», ovvero di ricondurre tutto al soddisfacimento di un bisogno presente, momentaneo, occasionale e quindi effimero. Per dirla con esempio: «Orban è il vero sovranista. Maduro è il tipico populista».
Non è complicato distinguere quale sia, tra i due, il percorso su cui innestare una nuova classe dirigente formata e con le “idee a posto”. Per questo motivo l’anniversario del 9 novembre si carica di un ulteriore significato storico in virtù dell’avanzata delle sovraniste, deflagrate, praticamente, in buona parte dei paesi che formano l’Unione, come risposta al mancato modello di sviluppo europeo. Abbattere il muro per costruire cosa? Se è vero che l’Unione da madre si è tramutata in insensibile «matrigna», come ha precisato Giampaolo Rossi, incapace e inadatta a proteggere le sue genti dalle disfunzioni della globalizzazione, dalle speculazioni economiche, dal cinismo delle banche, che hanno condotto ad una lenta ma progressiva erosione del sistema dei diritti sociali e dell’apparato industriale, è necessario riallacciare il legame tra i popoli europei, ridare un senso al puzzle che ha composto il più grande affresco politico-sociale dell’occidente.
«La lotta in corso è tra chi difende le identità che hanno costruito nei secoli questa Europa, e un sistema economico che ha come fine quello di disgregare» ha sottolineato il consigliere Rai che, dopo aver omaggiato il filosofo Roger Scruton, ingiustamente criticato in terra d’Albione, ha segnalato l’imprescindibile necessità di creare una «classe politica che non abbia paura di raccontare ciò che noi siamo; che non abbia paura di dire che un mondo fondato sulle sovranità popolari sia più giusto e più libero di un mondo fondato sulle élite finanziarie».
*Alessandro Boccia, collaboratore Charta minuta