Charta Minuta, Economia

"Forza Spread!", l’imbarazzante "partito" che tifa per il disastro

Eccolo, di nuovo. Dopo qualche anno di tattica assenza, è tornato baldanzoso il partito dello spread. Riunisce tutto il peggio che l’opinione pubblica possa offrire. In prima linea troviamo certi giornalisti, esperti in danza classica – soprattutto nell’eseguire piroette – che fanno le pulci al Documento di Economia e Finanza come mai prima d’ora, passando in rassegna con la lente d’ingrandimento ogni decimale, ogni virgola, ogni copertura, pronti a denunciare – calcolatrici alla mano – che i conti non tornano e che la sciagura è prossima.

È davvero ammirevole constatare tanta professionalità: un peccato non averla vista negli anni corsi. A dare manforte si schiera una pletora di economisti, per definizione esperti in tuttologia e profondi conoscitori dell’intero scibile umano. Probabilmente delusi dal mancato declino dell’economia americana da loro previsto con l’elezione di Trump, e infastiditi dal fallito affondamento del Regno Unito dopo il referendum sulla Brexit, sperano di azzeccare almeno il crollo dell’Italia. Non staccano gli occhi dai grafici di Piazza Affari, pronti a suonare il campanello d’allarme appena la curva dello spread inizia a virare verso l’alto – salvo poi scordare di avvisare quando scende. E allora ecco che le cassandre annunciano il default,  perché il debito pubblico è insostenibile – d’altronde, ha raggiunto il record durante il governo Renzi – e il deficit non può finanziarie misure considerate regalie elettorali – il bonus di 80 euro era, infatti, una misura strutturale che andava a risanare le casse dello Stato.
Nelle retrovie, ma piuttosto chiassosi, si indignano i politici della vecchia classe dirigente, che qualche anno fa erano in prima linea a denunciare il complotto di Bruxelles e dei poteri forti per far cadere il governo Berlusconi, e che ora come pappagalli ammaestrati ripetono di rispettare gli impegni con l’Europa. Non avevano capito nulla sette anni fa, e poco continuano a capire della complessa realtà che li circonda: si illudono che basti gridare allo spauracchio “populista” per ottenere consensi e tornare agli antichi splendori.

Questa è l’eterogenea truppa che guarda speranzosa verso Bruxelles, e grida, anzi, invoca, a gran voce: “Forza spread!”. Coltivano una speranza malsana: che il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi possa crescere sempre più, magari toccando quota 400, o – ancora meglio – 500. Lo spread come unica igiene per lavare via gli avversari politici indesiderati e avere la propria, distorta, rivincita. Credono di aver scoperto l’uovo di Colombo, ma non si accorgono di tifare per un film che si ripete. Nel 2011 si gridava, e si scriveva in certi giornali, “Fate presto!”, sotto il ricatto dello spread che doveva spazzare via un governo che metteva in pericolo l’esistenza stessa del Paese – così si disse.

Ciò che venne in seguito non fu esattamente un successo o una benedizione per l’Italia; fu la prima causa di quello che oggi viene bollato come “populismo”. Eppure, il drappello dei “competenti” che gongola nel sentir tintinnare lo spread non riesce a vedere al di là del proprio wishful thinking. Non si accorge che sperare nella Troika li rende ancora più impopolari e insopportabili: in una parola, invotabili. Ma a giudicare da certi scomposti atteggiamenti, sembra che a molti non importi nemmeno più l’orizzonte elettorale. Tifare per il disastro è di per sé una fragorosa e imbarazzante ammissione di incapacità; è l’ultimo rifugio del perdente cronico. Questo governo non è certo perfetto – come non lo è affatto il Def, che ha più d’una zona d’ombra – e non può essere tenuto in una campana di vetro, al riparo e immune da qualsiasi critica. Se possibile, però, si abbiano un po’ di compostezza e di onestà intellettuale nel muovere tali critiche; e la si smetta, se è rimasto ancora un po’ di pudore, di gongolare nell’immaginare un Paese in macerie solo per riparare il proprio ego ferito.

*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta

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