«Giovanni Toti, Nello Musumeci, ci date una mano?». Non è stato solo un invito ma una vera e propria “chiamata” quella lanciata di Giorgia Meloni a margine del discorso di chiusura di Atreju 2018. Una tre giorni che quest’anno come mai si è qualificata come il laboratorio di quel partito patriottico che – in vista dell’appuntamento «epocale» delle Europee, per parafrasare Steve Bannon – ha già aperto il proprio cantiere a tutte le “maestranze” che intendono rafforzare la proposta nazionale: sia in Italia che – come ha dimostrato l’adesione a The Movement – all’estero.
«L’appello che facciamo oggi a tante anime disperse del centrodestra è a costruire un grande partito dei conservatori e dei sovranisti, che metta al centro l’identità e l’interesse nazionale italiani, il concetto di patria, di nazione», ha spiegato la leader di FdI dopo aver ascoltato tanti esponenti di quel centrodestra diffuso ma non pienamente rappresentato – da Vittorio Sgarbi a Raffaele Fitto, passando per Ruggero Razza e Nunzia De Girolamo – ai quali FdI oggi offre oggi «una casa e una causa».
Compiuta la missione storica di «salvare la destra» dall’implosione, per Meloni adesso si affaccia un compito altrettanto difficile: blindare un’offerta politica che non può essere ostaggio dello spontaneismo e delle contraddizioni della Lega di Salvini impegnata nell’Ogm giallo-verde. È questo il senso di quell’impegno ad «allargare i nostri confini», lanciato dal palco della kermesse, perché «il centrodestra ha bisogno di rappresentare anche quelli che dalla Lega non si sentono ora rappresentati». Effetto collaterale di questa nuova soggettività che si candida a contendere con più anime il perimetro del sovranismo di governo sarà quello, non a caso, «di liberare Salvini dall’abbraccio del M5s» e di costruire con questo quel governo che il 4 marzo è stato riconosciuto da tutti tranne che da Sergio Mattarella.
Proprio per questo motivo, l’appello diretto ai due governatori – che rappresentano due modelli di buongoverno che hanno sconfitto e drenato i 5 Stelle su una piattaforma sia identitaria che sviluppista – è il primo passo di quel processo di sintesi che, secondo la leader di FdI, dovrà dotare il centrodestra italiano di un soggetto tanto anti-demagogico quanto radicale e radicato nella promozione dell’interesse nazionale in un’Europa confederale e partecipativa.
Di tutto questo potrà giovarsi e da questo potrà imparare anche lo stesso Steve Bannon, che ha trovato in Italia – da lui considerata del resto avanguardia nell’offerta nazional-populista – un soggetto, altro dalla Lega, dotato di peculiarietà e di un’identità irriducibile in un’epoca in cui la post-ideologia si rivela troppo spesso un’ideologia dell’umore: buona per lo sfogo, incapace però di diventare governo della crisi.
Ecco allora che quel «sappiamo dove stare» nella sfida «Europa contro €uropa» non è solo una scelta di campo nel fronte conservatore e sovranista ma è «una sfida centrale», come ha illustrato Meloni, per riaffermare il reale contro l’indistinto: «È un problema, per i nostri avversari, se ci definiamo italiani, madre, padre: loro ci vogliono cittadino x, genitore x…Hanno fatto male i conti: non siamo numeri, siamo persone». Alle prossime elezioni Europee si deciderà anche questo «e qui avremo l’occasione di dire finalmente “basta”: a Soros che finanzia la sostituzione etnica e ai damerini modello Macron che ci impartiscono lezioni di morale. Potremo finalmente cacciare i mercanti dal tempio dell’Ue».