Charta Minuta, Esteri

In Libia – col vuoto dell’Italia – si rischia il caos incontrollato"

Il 27 agosto scorso in Libia è scoppiato nuovamente il caos. La settima Brigata guidata da Salah al-Badi ha attaccato Tripoli, città difesa dalle milizie di Fayez al-Serraj, il cui governo è riconosciuto dall’ONU e appoggiato dall’Italia. L’attacco delle truppe di al-Badi è avvenuto per volontà del generale Khalifa Haftar, comandate della Cirenaica e appoggiato da Egitto e dagli Emirati Arabi, con l’obiettivo di prendere il comando di tutta la Libia.
L’Italia, che insieme ad altre nazioni ha condannato fermamente la ripresa degli scontri, pur essendo storica alleata di al-Serraj, per iniziativa del premier Giuseppe Conte, si è mostrata disponibile ad aprire un dialogo con il generale Haftar, finalizzato a condurre il Paese verso una stabilizzazione duratura prima delle elezioni. Tuttavia il presidente francese Macron, remando nella direzione opposta, spinge affinché il popolo libico voti prima possibile un nuovo esecutivo.
A pochi giorni di distanza dal momentaneo accordo, firmato lo scorso 5 settembre davanti all’inviato dell’ONU Ghassan Salamè, Paolo Quercia, esperto di monitoraggio e analisi geopolitica e di rischio Paese, rispondendo alle domande di Charta Minuta, paventa, in Libia, «il passaggio da un caos controllato ad un caos incontrollato».
Professor Quercia, che cosa sta accadendo in Libia dopo gli scontri di fine agosto? La situazione è stabile dopo l’accordo firmato davanti all’inviato dell’ONU Salamè?
È successo che in Libia sta avvenendo un rimescolamento dei rapporti di forza e delle alleanze, in particolare all’interno dell’ampia e frammentata coalizione che sostiene il debole esecutivo di unità nazionale guidato da Fayez al-Serraj, sostenuto dalle Nazioni Unite e su cui ha puntato anche L’Italia. Rischiamo il passaggio da un caos controllato ad un caos incontrollato. Il processo è ancora confuso e gli esiti incerti: se si dovessero rimettere in gioco gli equilibri di potere, a Tripoli, ciò potrebbe portare al rafforzamento delle componenti più islamiste che sono radicate in Tripolitania ma che sono state penalizzate negli equilibri di governo e nella gestione delle rendite.  Se ciò accadesse potrebbero crescere ulteriormente le divisioni con i secolaristi che hanno il potere in Cirenaica e che sono sostenuti da Egitto e Russia. Ma potrebbe anche semplicemente portare ad un circolo vizioso di instabilità che creerebbe altra instabilità, e il dilagare dei signori della guerra che, nello scenario libico, altro non sono che capi di associazioni criminali.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha dichiarato che dietro al caos scoppiato in Libia c’è la mano del presidente francese Macron, è vero?
Direi che è vero per quanto riguarda l’inizio del caos, ossia l’intervento contro Gheddafi e contro l’Italia del 2011. Oggi, invece, non credo che i francesi abbiano il controllo della Libia né che abbiano più di tanto la capacità di destabilizzare la situazione. Più che alla Francia guarderei alla debolezza dell’Italia, che non vuole assumersi responsabilità più importanti sulla Libia, nonostante siamo il Paese maggiormente interessato. Vedo questa debolezza come un chiaro segno del declino della politica estera italiana e delle sue ambizioni. È questo vuoto dell’azione dell’Italia che altri paesi concorrenti – e la Francia è uno di questi – possono tentare di sfruttare.
Quale dovrebbe essere l’approccio, anche in chiave commerciale, dell’Italia in relazione alla questione libica?
Sostenere l’unità nazionale, decuplicare gli sforzi per la ricostruzione della guardia costiera libica, investire massicciamente nei centri di accoglienza e rimpatrio dei migranti illegali in Libia in modo che si possano creare dei safe haven sotto controllo UN dove sbarcare coloro che vengono salvati nella acquee SAR libiche. E poi, aprire al dialogo con Khalifa Haftar ed avviare una interlocuzione con i rappresentanti della fratellanza mussulmana, con cui l’Italia ha sempre mantenuto canali sotterranei di contatto. In particolare l’Italia in Libia dovrebbe essere la capofila di quello che io chiamo lo “statebuilding dal mare”, ossia creare meccanismi di blue growth (crescita dell’economia legata ai servizi e ai prodotti del mare e delle sue risorse) adattandoli però ad un contesto di failing state.
Considerate le nuove tensioni in Libia, i flussi migratori potrebbero subire un aumento a discapito dell’Italia?
La questione migratoria è molto complessa. Il governo italiano precedente aveva a lungo lasciato mano libera ai trafficanti, perché – tra le altre cose – questa politica aiutava a stabilizzare la Tripolitania, area di nostro interesse che ha molto beneficiato da questi flussi. Ma ora la situazione è cambiata e quell’approccio è insostenibile, sia perché l’Europa non ce lo perdonerebbe più, sia perché ciò si è rivelato un enorme pull factor ed una grande vulnerabilità per l’Italia. Oggi la situazione è migliorata ma la pressione demografica attraverso la Libia resta enorme; il rischio è che un riacutizzarsi del conflitto romperebbe i precari equilibri e metterebbe a rischio quei progressi che sono stati fatti nell’ultimo anno, anno e mezzo. I traffici organizzati hanno bisogno di una stabilità relativa per funzionare e produrre guadagni molto importanti per i due cartelli che li gestiscono. Il rischio con la situazione attuale potrebbe essere quello di un proliferare di piccoli gruppi di trafficanti e soprattutto l’utilizzo dello strumento migratorio come forma di ricatto verso l’Italia per condizionarne politiche e scelte. Occorre dunque essere estremamente vigili in questa nuova fase fluida che si sta aprendo nella situazione interna libica.

*Alessandro Boccia, collaboratore Charta minuta

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