Charta Minuta, Esteri

De Lutio: una pagina di storia in Corno d’Africa

D. La visita del Primo Ministro etiopico Abiy Ahmed ad Asmara e del Presidente eritreo Isaias Afewerki ad Addis Abeba, nella prima metà del luglio scorso, è stata una pagina di storia che ha colpito tutti gli osservatori del Continente africano. Ciò che abbiamo visto rappresenta davvero un punto di svolta negli equilibri del Corno d’Africa?
R. Senza dubbio è un punto di partenza. Quando iniziano processi, che devono risolvere questioni aperte da molti anni, è sempre difficile predire quale sarà il loro risultato.  La mia impressione è che siamo di fronte ad un vero cambiamento di scenario, reso possibile dal fatto che per la prima volta nella plurimillenaria storia dell’Etiopia un musulmano, di etnia Oromo, è alla guida del Paese. Quindi, una personalità non condizionata da legami ancestrali con la disputa tra Etiopia ed Eritrea, capace di creare le condizioni necessarie all’avvio delle attività di demarcazione della frontiera sulla base delle conclusioni della famosa Commissione di demarcazione, istitutita dagli Accordi di Algeri. Un altro elemento importante, questa volta di politica interna, è stata la liberazione dei prigionieri politici e l’impegno dello stesso Abiy a favore del multipartitismo effettivo e non di facciata. Infine, lo stesso Primo Ministro etiopico ha annunziato una serie di riforme economiche attese da anni – tra cui la privatizzazioe delle telecomunicazioni – che potrebbero “liberare” quelle energie, bloccate da decenni, e che potrebbero portare finalmente quel benessere che l’Etiopia ed il Corno d’Africa non hanno mai conosciuto. Il quadro politico dell’Etiopia e dell’intero Corno d’Africa è stato completamente bloccato per troppi anni, tanto sul fronte interno che su quello internazionale.
D. Nonostante l’Accordo di Algeri che portò alla fine della violentisisma guerra durata dal ’98 al 2000, vi è stato un protrarsi di rapporti molto tesi… come si è giunti ad un dialogo di tale portata?
R. Tanto in politica estera quanto sul fronte interno, l’Etiopia ha vissuto per oltre 10 anni in una situazione di completo stallo. Non va dimenticato che Addis Abeba è impegnata dal 2006 anche in Somalia, altro conflitto ancora irrisolto. Il tentativo di isolare l’Eritrea non aveva portato a risultati concreti ed anzi aveva contribuito al rafforzamento del regime ed alla fuga di migliaia di giovani, privi di concrete prospettive, come ben sappiamo in Italia dove sono giunte migliaia di govani eritrei. Ricordo che in varie occasioni  l’allora Primo Ministro etiopico Meles Zenawi invitatava gli Ambasciatori occidentali a non considerare il proprio Governo come un blocco monolitico. Sempre secondo Meles, il suo ruolo era semplicemente quello di ago della bilancia tra le tradizionali tendenze centraliste, contrarie sai all’indipendenza dell’Eritrea che alla regionalizzazione del Paese, e quelle disponibili a creare una nuova legittimità nazionale, basata appunto su federalismo anche etnico e su di un rapporto paritario con l’Eritrea. Ciò era in parte vero. Probabilmente è accaduto che una nuova etnia, ormai maggioritaria e tradizionalemnte ai margini della storia etiopica, è riuscita ad esprimere un leader di statura nazionale, non emotivamente coinvolto nella vicenda eritrea, capace di fare ciò che razionalmente tutti gli amici dell’Etiopia suggerivano da anni… incontrarsi e dialogare!
D. Oltre ai fondamentali passi mossi dai due leader, quanto e come peserà il ruolo delle due rispettive popolazioni nel processo di reale pacificazione?
R. Le popolazioni nelle loro diverse componenti, etniche e religiose, dovranno partecipare al processo di “normalizzazione” delle relazioni interpersonali. Non dimentichiamo che la guerra etio eritrea ha provocato decine di migliaia di morti, in due Paesi gia stremati da una guerra civile durata circa 20 anni! Ritengo tuttavia che, come sempre, la stragrande maggioranza della popolazione cerchi di vivere in pace e di dimenticare gli orrori delle guerre.
D. La Somalia è caratterizzata da una forte mancanza di autorità dello stato. La forte frammentazione del potere è la causa principale dello sviluppo di derive religiose che hanno aperto la porta all’ISIS. L’armonizzazione tra Eritrea ed Etiopia potrebbe beneficiare la Somalia e concorrere alla salvaguardia del Corno d’Africa da infiltrazioni terroristiche?
R. Senza dubbio sì ma è necessaria una premessa. Tradizionalmente, la Somalia è caratterizzata da una struttura socio politica sui generis, il Clan, ed ha solo tollerato l’esistenza di uno stato centralizzato, forte. Siad Barre, esponente di un piccolissimo clan tentò di superare la struttura clanica e di creare una Somalia unitaria ma il suo progetto fallì per ragioni troppo lunghe da spiegare ora. Va altresì tenuto presente che la guerriglia eritrea e poi quella delle altre etnie etiopiche contro l’Imperatore e, successivamente, il Derg hanno sempre ottenuto dalla Somalia aiuti e sostegno anche politico. Quello che è avvenuto in Somalia dopo la caduta di Siad Barre nel ’91 ha avuto pesanti conseguenze sull’Etiopia ed Addis Abeba ha sempre seguito con attenzione l’evoluzione del quadro interno somalo, cercando di evitare un coinvolgimento diretto delle potenze islamiche. Va anche ricordato che nel dopoguerra l’Etiopia è stata attaccata ben due volte dalla Somalia ed è riuscita ad aver ragione dei somali solo con molta fatica. Nei momenti di maggior tensione con Addis Abeba, Asmara sosteneva i movimenti somali contrari agli interessi strategici dell’Etiopia. Ora la speranza è che i due leader riescano a collaborare anche per i riflessi positivi che una Somalia stabile avrebbe sugli equilibri interni di entrambi i Paesi, anche nell’interesse delle rispettive Comunità islamiche purchè queste non siano state già infiltrate in maniera irreversibile dagli estremisti ilsamici.
D. L’instabilità e la conseguente precarietà economica del Corno d’Africa non ha giovato affatto neanche ai vicini Sudan, Sud Sudan e Kenya… luoghi dai quali una gran parte dei migranti raggiunge l’Europa attraverso l’Italia che ne è la porta nel Mediterraneo. Una pacificazione strutturata gioverebbe senz’altro al nostro Paese, anche in un’ottica di contenimento dei flussi migratori. Che ruolo dovrebbe e potrebbe svolgere l’Italia congiuntamente all’Europa?
R. Ovviamente, una stabilizzazione del Corno d’Africa sarebbe utile anche alla Regione mediterranea ed all’Africa sub-sahariana. Uno sviluppo civile ed economico di Eritrea ed Etiopia avrebbe conseguenze positive su tutta l’Africa ma anche sull’Europa. Tradizionalmente il Corno d’Africa è sempre stato la porta di ingresso dell’Islam verso l’Africa sub-sahariana ed in questi anni di estremismo islamico l’Europa così come i regimi laici africani e medio orientali avrebbero tutto l’interesse a prestare la massima attenzione a questo scacchiere. Ciò è particolarmente vero per gli europei ed in particolare per l’Italia. Il contenimento dei flussi migratori è un elemento centrale del dibattito politico italiano ed europeo ma dobbiamo anche riflettere sul fatto che l’Italia è in grado di svolgere un ruolo politico autonomo in Libia, nel Corno d’Africa e parzialmente in Medio Oriente. In raccordo con l’UE e con gli USA, l’Italia deve essere presente, aiutando i due Paesi nel processo di stabilizzazione del Corno d’Africa affinchè questo vada avanti con la necessaria velocità e per evitare che i due Paesi implodano, aprendo le porte dell’Africa sub-sahariana ai diversi gruppi terroristici di ispirazione islamica. Inoltre, la Regione ha bisogno di infrastrutture e si potrebbero quindi aprire prospettive interessanti per la nostra economia. Non dimentichiamo che Etiopia ed Eritrea sono gli unici Paesi dell’Africa sub-sahariana ad avere una struttura statuale stabile. Certamente andrà modernizzata e rafforzata ma costituisce un’ottima base di partenza. L’Italia ha ancora gli strumenti politici e culturali per svolgere un proprio ruolo, basti pensare a tutti i funzionari, i militari, gli agenti di polizia che abbiamo formato nelle nostre scuole, Accademie, Università a strutture uniche come l’Orientale di Napoli dove si insegnano ancora le principali lingue della Regione o al patrimonio di conoscenze dell’Istituto Italo-Africano, sospeso in un limbo giuridico da troppi anni. In conclusione, è necessaria da parte dell’Italia un’intensa azione nel Corno d’Africa, non per vuoto velleitarismo o nostalgismi ridicoli, ma perchè si tratta di difendere nostri interessi politici ed economici e perchè ne avremmo ancora i mezzi.
*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta

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