Il “contratto di governo” tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini? Dopo una lettura attenta, in tutta onestà, non possiamo dire che questo: sembra piu un programma pensato per essere approvato con i “like” dal referendum on-line della piattaforma Rousseau o nei gazebo leghisti piuttosto che un progetto organico di governo e di riforme necessarie per l’Italia.
La cosa che ci sorprende – dietro il velo mediatico di diverse misure “manifesto” – è che sono rimaste scoperte proprio le tematiche centrali dei pentastellati e della Lega: da quelle strutturali richieste dal Mezzogiorno (a parte l’assistenzialismo-tampone del reddito di cittadinanza) alle risposte da dare ai produttivi, tanto cari agli elettori del Nord. Il risultato? Emerge un’accettazione di fatto della decadenza dell’Italia sotto la veste edulcorata della cosiddetta “decrescita felice”.
Le domande senza risposta infatti – una volta finito di leggere il programma dei giallo-verdi – sono tante: chi e perché dovrebbe creare ricchezza a questo punto? Come si riducono le diseguaglianze crescenti? Come si tutela l’innovazione tecnologica? Dov’è la ricetta per dare un ruolo all’Italia in Europa e nel mondo? Dove è l’impresa, soggetto del Nord leghista? E dove sono i giovani che hanno votato 5 Stelle? Dico questo perché il contratto di programma non delinea un futuro per l’Italia ma rappresenta solo il maldestro tentativo di preservare il presente. Guarda alla distribuzione ma non alla produzione. E proprio in questo conferma di non avere una visione politica e una mission chiara su come far risorgere l’Italia.
Non solo. Nelle trentanove pagine del documento si contano pure soluzione assai discutibili. Quali? La messa in discussione della Tav, che potrebbe costarci due miliardi di penali; la ristatalizzazione di Alitalia e di Monte dei Paschi di Siena, che serviranno a far piacere ai soliti noti; mentre l’eventuale chiusura di Ilva, principale polo siderurgico europeo, può significare che l’Italia dopo la chimica perderà anche la siderugia, pilastro necessario di una politica industriale.
Tutto sbagliato dunque? No. Il contratto sembra condivisibile su aspetti come l’agricoltura, l’ambiente, la cultura, la sicurezza, le pensioni: aspetti importanti ma non decisivi. Queste buone proposte, poi, non solo sono inserite in un contesto non omogeneo ma spesso sono il frutto di un copia e incolla di ciò che il centrodestra ha proposto in campagna elettorale. Discorso diverso invece su debito, fisco, famiglia, natalità, lavoro ed immigrazione: su questi nodi l’approccio è decisamente debole perché non basta andare nella direzione giusta. Giudizio pessimo, invece, sul capitolo Esteri ed Europa, perché privo di visione; sulle riforme istituzionali (regionalismo senza presidenzialismo); sulla sanità (permane il disequilibrio con il Sud) e sulla scuola (solo nuove assunzioni). Del tutto inesistente, infine, la proposta sul fronte dello sviluppo, della crescita, degli investimenti, delle infrastrutture e della politica industriale.
In ogni caso siamo a un passo da un nuovo Nazareno. Ieri composto da chi ha fatto nascere prima il governo Letta e poi quello Renzi, oggi animato da Di Maio e Salvini: vedremo se quest’ultimo finirà come il precedente. Oggi come allora, da parte nostra, restiamo scettici su governi e composizioni che nascono senza l’indicazione del corpo elettorale. Perché non hanno quel respiro che nasce solo dalla legittimazione popolare.
*Adolfo Urso, senatore FdI